Come tutti gli altri. Fenomenologia del conformismo
Il conformista
La scelta più semplice da compiere è fare quello che fanno tutti. Seguire la massa, conformarsi, adeguarsi… Muovendosi all’interno di un percorso comune, ci si mette al riparo dai turbamenti e si elimina il problema del dubbio. Fidandosi del gregge, si accetta passivamente la direzione da seguire. In tal modo, gli interrogativi si azzerano e le coscienze smettono di traballare, rassicurate dalla quiescenza comune.
Ma seguire la massa non è una decisione consapevole. A quanto pare avviene in maniera inconscia. Il bisogno di conformarsi agli altri è una spinta endogena che ha sempre caratterizzato la natura umana. Non soltanto lo si può individuare in tutte le epoche, ma è facilmente riconoscibile in ogni circostanza dell’esistenza. Chi sono, infatti, gli emarginati? Sono tutte quelle persone che hanno difficoltà a inserirsi nel gruppo sociale a loro prossimo, o che dal gruppo vengono rifiutate per qualche forma di inadeguatezza. Le sofferenze generate dalla mancata accettazione o dall’incapacità di omologazione sociale sono un fenomeno tutt’altro che trascurabile. Le conseguenze possono essere devastanti per il singolo individuo e possono creare pericolo sociale.
Il non-conformista
Nonostante la tendenza generale, esistono delle persone che riescono a distinguersi dalla massa. Costoro rientrano in due categorie – spesso non sovrapponibili. A volte, invece, complementari. C’è chi si erge al di sopra del proprio gruppo sociale, in virtù di determinate caratteristiche che vengono riconosciute “ammirevoli”; c’è, invece, chi si discosta volontariamente dal resto della società per un senso di “estraneità” o per una forma di protesta.
- Nel primo caso, parliamo di persone che diventeranno leader (o simboli, idoli, influencer, ecc.) e saranno capaci di dettare nuove mode, di promuovere certi tipi di comportamento o, addirittura, di indurre la massa a evolversi verso una nuova forma di equilibrio sociale. C’è da dire che questo genere di persone non sono e non saranno mai “indifferenti” al comportamento della massa, proprio perché il loro successo deriva dal consenso e dall’apprezzamento che un nutrito gruppo sociale decide di tributargli. Il leader è, al tempo stesso, colui che indirizza la massa e colui che dalla massa si origina e trae sostegno.
- Appartiene alla seconda categoria, invece, il cosiddetto anticonformista. Si tratta di una persona che sceglie deliberatamente di non adeguarsi all’andazzo comune, di colui che dichiara di avere idee e vedute differenti da quelle prevalentemente accettate. L’anticonformista afferma di agire in controtendenza e, spesso, ne fa un vanto. Non è raro che l’anticonformista imputi alla massa codardia, ignoranza e pusillanimità. Non è difficile notare in lui un atteggiamento di snobismo e sussiego nei confronti degli altri, la maggioranza. C’è stato un periodo in cui essere anticonformista costituiva quasi un vezzo, una forma di distinzione manierata che serviva ad affermare il proprio ego. Un ego che, in caso di conformità al cosiddetto “pensiero comune” si sarebbe smarrito nella moltitudine, perdendo importanza. Essere qualcos’altro significava anzitutto “essere” poiché chi non è diverso non ha molte opportunità di affermarsi.
Ma l’anticonformista mente. Quando dichiara di non lasciarsi condizionare dalla massa – o di esservi indifferente – sta, di fatto, negando sé stesso. Egli non esisterebbe se non ci fosse una “moltitudine” accomunata da quegli usi e costumi che lui disdegna. Anche le scelte dell’anticonformista sono determinate dal comportamento generale della società: egli reagisce in funzione inversa alla tendenza maggioritaria.
“Il conformista
È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta
Il conformista
Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
È un concentrato di opinioni
Che tiene sotto il braccio due o tre quotidianiE quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
Forse da buon opportunista
Si adegua senza farci caso
E vive nel suo paradisoIl conformista
È un uomo a tutto tondo che si muove
Senza consistenza il conformista
S’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza
È un animale assai comune
Che vive di parole da conversazioneDi notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori
Il giorno esplode la sua festa
Che è stare in pace con il mondo
E farsi largo galleggiando il conformista…”*
*testo di Giorgio Gaber
Nella storia sono esistiti dei casi di anticonformisti che sono riusciti a coinvolgere un gran numero di persone, traendole fuori dalla “massa”. Questi anticonformisti “di successo” hanno determinato cambiamenti importanti, addirittura epocali. Ma nel momento stesso in cui sono riusciti ad affermarsi, hanno automaticamente smesso di essere avulsi dalla società.
Il conformismo nella letteratura
Nel 1951 venne pubblicato il romanzo “Il conformista” di Alberto Moravia. Racconta la vita di un uomo che, da giovane, fatica a inserirsi nel suo contesto sociale. Marcello, il protagonista, non si sente accettato e ne soffre. Attraverso un traumatico processo di omologazione, riesce a far sua quella necessaria ipocrisia che lo porterà a integrarsi nel marasma generale. Coronerà presto il suo sogno di diventare “come tutti gli altri”. Ma il suo processo di adeguamento comporterà l’adesione all’ideologia fascista e l’adozione di comportamenti “borghesi”. Marcello si renderà responsabile di azioni deplorevoli e, suo malgrado, scoprirà che l’omologazione non gli ha affatto consentito di ottenere l’agognata felicità.
Forse il più sincero degli anticonformisti che possiamo rintracciare in ambito letterario è Martin Eden, l’indimenticabile personaggio creato da Jack London. La sua evidente alterità nei confronti della società in cui vive deriva dalla purezza del suo animo e dalla sua incorruttibilità. Martin non è capace di snaturarsi e di scendere a compromessi. Neppure l’amore riuscirà a modificare la sua impostazione naturale. Il suo anticonformismo è inappuntabile, è inattaccabile, perché non è “ragionato”. Non deriva, infatti, da un atteggiamento oppositivo o da una forma di ribellione: è la pura incompatibilità fra innocenza e ipocrisia. Però Martin Eden non fa una bella fine… e questo non mi sembra un dettaglio trascurabile.
Il conformismo e le ideologie
Per molto tempo, il prototipo dell’anticonformista è stato rappresentato da colui che aderiva agli ideali dell’estrema sinistra. Un tempo quest’uomo si sarebbe orgogliosamente definito comunista e avrebbe rivendicato la propria alterità rispetto alla maggioranza della popolazione. Il suo agire sarebbe stato caratterizzato dal rifiuto di scendere a compromessi con il resto del mondo. Il comunista dei tempi che furono deplorava l’omologazione al comportamento borghese e l’assoggettamento che, a suo dire, la massa subiva dal cosiddetto “capitale”. Va da sé che l’omologazione era sinonimo di imborghesimento o, peggio ancora, di fascismo.
Ma la strategia del comunista, cioè l’alienazione dalla massa e l’ostentazione del proprio dissenso, risultò essere fallimentare. Anzitutto non si avevano risultati elettorali convincenti – quantomeno non sufficienti a ottenere una maggioranza tale da consentire la formazione di un governo o la realizzazione di ciò che i comunisti chiamavano “rivoluzione” –, in secondo luogo divenne chiaro che l’isolamento ideologico non avrebbe consentito né di fare proselitismo né di ottenere un ricambio generazionale adeguato. L’anticonformismo dei comunisti venne criticato dall’interno:
“Ora noi possiamo sentirci, in mezzo alla comunità, soli e diversi, ma il desiderio di rassomigliare ai nostri simili e il desiderio di condividere il più possibile il destino comune è qualcosa che dobbiamo custodire nel corso della nostra esistenza e che se si spegne è male. Di diversità e solitudine, e di desiderio di essere come tutti, è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere mai.”
Con questa affermazione, la scrittrice Natalia Ginzburg invitava i militanti della sua compagine politica a non rimanere chiusi nel cerchio dell’isolazionismo ideologico. Era indispensabile cercare una qualche forma di confronto con il resto della società.
Per non estinguersi, per non fallire…
Vi è un certo paradosso nel fatto che coloro che si definivano “anticomunisti” rimproverassero ai loro antagonisti proprio la volontà di assoggettare la popolazione a una “comunanza” sciatta, fatta di una condivisione totale di beni, risorse, ideali, sogni, speranze. In questo insolubile cortocircuito, gli anticonformisti venivano accusati di conformismo!
A tal proposito potremmo citare un altro grande classico che vale sempre la pena di leggere perché non perde mai la sua “attualità”: “L’insostenibile leggerezza dell’essere” del grande scrittore ceco Milan Kundera. Il protagonista, Tomas, è un medico che vive a Praga nel 1968 e, pertanto, subisce in prima persona l’oppressione del regime comunista. Tomas è un “hombre vertical”: non intende piegarsi alle imposizioni del regime, non vuole conformarsi al becero contesto del grigiume socialista. Tomas disprezza silenziosamente una società nella quale i sentimenti sono sopiti artificialmente e politicamente. Si ribella in due modi: amando e rifiutandosi di ritrattare alcune sue vecchie dichiarazioni contro il comunismo.
Se proviamo a uscire dal contesto prettamente politico e ci sforziamo di applicare il ragionamento della Ginzburg alla realtà in generale – e ai tempi odierni – possiamo affermare con una certa sicurezza che l’anticonformista è un infelice cronico. Pur essendo convintamente avulso dalla massa, pur ostinandosi a mantenersi “estraneo” a ciò che non accetta o non condivide, l’anticonformista non sarà mai soddisfatto. Questo perché dovrà costantemente notare come siano ben pochi quelli disposti a seguirne (o imitarne) le gesta, invece saranno innumerevoli coloro che lo additeranno come strambo, diverso, originale, eccentrico, strano…
L’anticonformista da un lato si bea della sua diversità, dall’altro soffre della propria posizione isolata: se gli altri non lo seguono, significa che non ne stanno riconoscendo il valore, significa che non lo stanno ammirando, che non lo capiscono, che non lo apprezzano, che non gli danno ragione.
Dunque è impossibile estraniarsi del tutto dal contesto sociale – a meno di non trasformarsi in un orso o di fare la fine di Martin Eden – e una qualche forma di confronto o di partecipazione bisogna metterla in opera. Il più integralista degli anticonformisti avrebbe sprecato la sua vita e le proprie energie se non le impiegasse, almeno in parte, a cercare di convincere gli altri che l’andazzo generale è sbagliato. L’anticonformista ha un ruolo sociale tutt’altro che trascurabile. Egli ha la funzione della sveglia per chi si accontenta di sonnecchiare nel “così fan tutti”; costituisce un alter ego di tipo sociale che invita al confronto. L’augurio è che i confronti siano sempre di tipo socratico, anziché sfociare nello scontro aperto.
Il presente: pensiero unico?
Oggi è davvero raro trovare persone che si riconoscono ideologicamente nella dottrina comunista, mentre solo i fanatici si definirebbero “fascisti”. Perché le ideologie che hanno infiammato il ‘900 oggi deludono, spaventano, sgomentano le coscienze. Si preferisce vivere in un immenso alone incolore che è la sintesi, la mediazione dei tanti estremismi del passato e che si autodefinisce “democrazia”.
C’è chi ha parlato di “morte delle ideologie”, a fronte di un appiattimento generale verso un pensare comune. Ci sarebbe, ai nostri giorni, un’unica ideologia universalmente riconosciuta. Un’ideologia tanto forte da essere incontestabile, pertanto capace di mettere “fuori legge” – o, almeno di emarginare – chi è restio a riconoscerne la validità. Il pensiero unico ha vinto, anzi vince ogni giorno su tutti i fronti. Sbaraglia la concorrenza senza attenuanti e si fa forte del suo cardine fondamentale: il potere economico. Ciò che aggrega le masse, infatti, non è più il pensiero – ammesso che lo sia mai stato –, bensì il bisogno. La necessità economica spinge miliardi di persone a inserirsi in un sistema che accetta solo chi ha potere d’acquisto. L’omologazione riguarda i consumi e l’individuo è tale solo in quanto consumatore.
Il consumatore ai tempi del finanz-capitalismo è un essere che ha ampiamente superato la soglia dell’indigenza perché, rispetto ai suoi antenati, si è assicurato un tetto sotto il quale vivere e un regime alimentare più che ricco. Tuttavia, egli non può esistere se non è disposto a spendere. Ed è per questo motivo che il sistema crea costantemente nuovi “bisogni”. Questi bisogni si traducono nell’immediata necessità di acquistare beni e servizi. E nel momento in cui tali beni e servizi sono diventati d’uso comune, il sistema interviene scavalcando sé stesso e creando un nuovo bisogno.
Ma perché il bisogno inventato nei consigli di amministrazione delle grandi società industriali, e successivamente reso virale dalle campagne pubblicitarie, riesce ad attecchire nelle menti dei potenziali consumatori? I motivi sono due: una sorta di insoddisfazione cronica che spinge l’essere umano a “proiettare” le proprie carenze sugli oggetti più in voga e il desiderio di imitare gli altri.
Omologazione e consumismo
Secondo le teorie dell’antropologo francese René Girard, l’umanità manifesta sempre un certo desiderio mimetico: la maggior parte degli uomini non ha un pensiero proprio, dei desideri propri e delle aspirazioni “originali”, ma tende a lasciarsi suggestionare da modelli o idoli, cercando di imitare le scelte altrui. Se l’uomo è stato definito “un animale sociale”, questa sua socialità non deriva solamente dai bisogni di compagnia, comprensione, affetto… ma anche dalla necessità di aggregarsi ad altri uomini, che poi si imiteranno reciprocamente. Ognuno di noi sceglie – consciamente o meno – dei modelli umani da seguire. Nei casi più estremi tali modelli diventano idoli. E in conformità a questa scelta, si agisce di conseguenza adottando usi, costumi e soprattutto consumi di tipo imitativo. Il capitalismo moderno esiste in funzione del bisogno d’imitazione che è insito alla natura umana, ne sfrutta il più possibile gli effetti e fa leva sul senso di disagio che gli umani avvertono nella condizione di minoranza, di emarginazione.
Oggi l’emarginazione è principalmente caratterizzata dalla stigmatizzazione della povertà. Ma il concetto di povertà è fortemente cambiato, non essendo più riferito all’indigenza, bensì al mancato possesso di merci griffate, di prodotti di tendenza. Il desiderio mimetico è ciò che spinge milioni di persone a comprare “cose” che vanno di moda, anche se non se ne ha un effettivo bisogno. È per questo motivo che ci affanniamo a ottenere obiettivi che sono principalmente materiali. La crescita personale è del tutto subordinata al possesso di oggetti. Per di più, questi oggetti hanno una obsolescenza terribilmente precoce e “bisogna” rimpiazzarli in fretta con altri più moderni e fintamente indispensabili. Il famoso bovarismo di Emma, l’emblematico personaggio creato da Gustave Flaubert, non era in gran parte l’estrinsecazione del suo desiderio mimetico? Emma Bovary aveva un morboso bisogno di emergere dalla mediocrità in cui era stata relegata per nascita, dunque abbisognava di “imitare” coloro che ostentavano felicità effimere mediante la bellezza di abiti, arredi, accessori. Il mercante che spingeva Emma a indebitarsi per acquistare futilità era l’archetipo del capitalista moderno: vendeva fumo a debito…
Oggi siamo stati tutti trasformati in delle Emma Bovary. La nostra infelicità è la versione moderna della sua, la nostra avidità è gemella della sua, ma la nostra inconsapevolezza è ben peggiore di quella di Emma. Avremmo tutti gli strumenti per renderci conto della situazione e per combattere ciò che ci viene instillato nella mente, ma non siamo capaci di reagire.
“Costui che spadroneggia su di voi non ha che due occhi, due mani, un corpo e niente di più di quanto possiede l’ultimo abitante di tutte le vostre città. Ciò che ha in più è la libertà di mano che gli lasciate nel fare oppressione su di voi fino ad annientarvi. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? Come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? E i piedi con i quali calpesta le vostre città non sono forse i vostri? Come fa ad avere potere su di voi senza che voi stessi vi prestiate al gioco? E come oserebbe balzarvi addosso se non fosse già d’accordo con voi? Che male potrebbe farvi se non foste complici del brigante che vi deruba, dell’assassino che vi uccide, se insomma non foste traditori di voi stessi?” *
*Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria
Che cosa significa, dunque, essere anticonformisti al giorno d’oggi?
Significa per prima cosa studiare le ideologie, cercando di tenersi il più possibile al riparo dai pericoli che possono generare (estremismo, fanatismo, indisposizione al dialogo, ecc.). Significa prendere coscienza di come funziona il finanz-capitalismo per potersi difendere dalle strategie di marketing che impongono il consumo compulsivo di merci futili. Ma significa anche diventare un consumatore consapevole. Anziché rovinarsi l’esistenza cercando di raggiungere ciò che è inequivocabilmente al di fuori della propria portata, anziché indebitarsi per decenni pur di possedere oggetti che fanno solo il bene di chi li ha prodotti, è necessario cercare la propria soddisfazione dentro di sé, per poi proiettarla all’esterno verso gli altri. Chi non ha bisogno di oggetti per sentirsi bene, riesce a relazionarsi meglio con le altre persone poiché le vede come tali, anziché come rivali da sfidare per la conquista del benessere. Significa, inoltre, acquisire la capacità di pensiero critico, cioè saper mettere in discussione tutto ciò che ci viene imposto come verità incontestabile e, dunque, difendersi dalla creazione di “bisogni” artificiosi e artificiali di stampo prettamente speculativo e capitalistico. Ma soprattutto non significa isolarsi! L’anticonformismo fine a sé stesso è una forma di sconfitta personale che non porta beneficio. La figura di chi nuota controcorrente, di chi agisce in controtendenza è sempre stata utile alla società. Spesso l’anticonformista incarna il super-io del gregge: gli ricorda di soffermarsi a riflettere.
Infine, essere anticonformisti significa leggere, leggere e ancora leggere, visto che non va più di moda…