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Un arco aperto di Salvatore Quasimodo

Un arco aperto

La sera si frantuma nella terra
con tuono di fumo e l’assiolo
batte il tu, dice solo
il silenzio. Le isole alte, scure
schiacciano il mare, sulla spiaggia
la notte entra nelle conchiglie.
E tu misuri il futuro, il principio
che non rimane, dividi con lenta
frattura la somma di un tempo già assente.
Come la schiuma s’avvinghia
ai sassi, perdi il senso dello scorrere
impassibile della distruzione.
Non sa la morte mentre muore
il canto chiuso del chiù, tenta intorno
la sua caccia d’amore, continua
un arco aperto, rivela la sua
solitudine. Qualcuno verrà.

Un gesto o un nome dello spirito
Vita pirata, hai alzato il gran pavese
entrando nel mio mare a disperdere
insanguinare, sotto il filo della tua ascia
tambureggiante, speranze,
identità tra sogno e giorno
visibile. E spari la cavalletta
dei papaveri e il ghiro appeso ai faggi,
lo strumento a corda e la lira a lamina
vocale degli aedi, ma non i miti
protettori dei pensieri. E l’amore
cortese fu a lungo pronunce, arbìtri
rozzi, furori. Io vedo da una collina
di tufo e di conchiglie, e ronda il mare,
il mio sguardo infantile di rancore.
Mi hai strappato ogni primogenitura
bivaccando sotto la mia anima.
Ma se anche tu avessi dato un saluto
d’incontro felice col tuo segnale
alle mie pietre, agli animali, agli alberi,
non una parola interna avrei mutato
del mio ieri o futuro. Nemmeno tu
decidi un gesto o un nome dello spirito,
grossolano pirata
di saggezza, inesauribile follia.

 

Salvatore Quasimodo