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Scelta di bevande negli scaffali

Il consumismo, o la ricerca della felicità

 

Dopo aver letto da poco Il mondo nuovo di Aldous Huxley, le considerazioni sul consumismo sono ovvie. E, nel caso non lo ricordaste o se non avete letto il libro, si parla di una società pre-condizionata (fra le altre cose) al consumismo attraverso messaggi ripetuti centinaia di migliaia di volte nel sonno. Ma si tratta di una distopia; quello è solo un libro; ora non esageriamo; siamo in un mondo libero; chi vuoi che ti stia condizionando mentre dormi? Ah, sì? Sono queste le vostre rimostranze? D’accordo. Prima però, vediamo che significa, esattamente, il consumismo.

“La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. […] Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, viaggi, viva, in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso. Gli utensili elettrici domestici e l’intera linea del fai-da-te sono ottimi esempi di consumo costoso.” (Victor Lebow)

Immagine dell'incrocio di Shibuya, Giappone

Che cosa si intende con il termine consumismo?

Vediamo alcune definizioni del consumismo:

“Fenomeno economico-sociale, tipico delle società capitalistiche avanzate, ma presente anche nei Paesi in via di sviluppo, consistente nell’aumento dei consumi privati, individuali o familiari, al fine di soddisfare bisogni non primari.” (Dizionario di economia e finanza, 2012 Treccani)

La definizione presente nel Dizionario di economia e finanza prosegue con la seguente spiegazione:

“(…)Il consumismo è spiegato principalmente come fine ed effetto della persuasione pubblicitaria, atta a condizionare le scelte dei consumatori attraverso la comunicazione di massa di modelli di consumo associati all’appartenenza, al prestigio e al successo.”

Nell’Oxford Languages Dictionary, il consumismo viene definito come:

“Atteggiamento volto al soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, alieno da ideali, programmi, propositi, tipico della civiltà dei consumi.”

Difatti, si riduce tutto a questo: il bisogno di felicità. Felicità che ci viene proposta attraverso messaggi che toccano le nostre corde più sensibili (a loro volta logorate da altri bombardamenti di dettami più o meno subliminali). Aspetto fisico, status-symbol, approvazione, rispetto: sono solo alcune delle aree di insicurezza più comuni del XXI secolo; proponeteci soluzioni a tutto questo e spenderemo fino all’ultimo soldo per assicurarcele!

Quando nasce il consumismo

Fra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo gli studiosi iniziarono a notare la diffusione di una società di consumi, già presente in Inghilterra nel XVII secolo. Merci esotiche o di manifattura locale venivano consumate in quantità maggiore dallo stesso numero di persone. Inoltre, per la prima volta, l’imprenditore inglese di ceramica Josiah Wedgwood, notò come le mode aristocratiche iniziavano a filtrare verso le altri classi meno abbienti della società. Wedgwood comprese che, manipolando i gusti e le richieste della nobiltà, avrebbe potuto di conseguenza prevedere le abitudini di consumo del resto della popolazione. Ovviamente a suo grande vantaggio.

La grande rivoluzione industriale dette poi la spinta decisiva alla diffusione del consumismo nel mondo occidentale. I ceti bassi della società ebbero la possibilità di diventare ceti medio-bassi, mentre il ceto medio si allargò. Il potere di acquisto crebbe, la produzione di massa, i grandi magazzini e, in seguito, l’avvento della tecnologia fecero il resto.

“Nella casa del saggio la ricchezza è schiava, in quella dello stolto, padrona” Lucio Anneo Seneca

Qual è la differenza fra consumismo e consumo

Considerato da studiosi e economisti come una variante del capitalismo – o un suo derivato –, il consumismo è parte integrante del sistema economico, se non addirittura un sistema a sé. La differenza fra consumismo e consumo consiste sostanzialmente nel fatto che il primo è l’eccesso del secondo. Dunque, il consumismo è un eccesso di consumo.

Le due parole non presentano soltanto differenze semantiche: il consumo è un’azione, il consumismo un fenomeno di massa; sono le implicazioni psicologiche a fare la vera differenza. Consumiamo cibo per nutrirci e sopravvivere, consumiamo abiti per proteggerci dal freddo o dal caldo e via dicendo. Ma cosa succede quando consumiamo oltre il nostro reale bisogno? E soprattutto, perché lo facciamo?

 

Il consumismo e la ricerca della felicità

“Per risolvere il problema di questa infelicità furono suggerite varie proposte, ma queste perlopiù concernevano lo scambio continuo di pezzetti di carta verde, un fatto indubbiamente strano, visto che a essere infelici non erano i pezzetti di carta verde, ma gli abitanti del pianeta.” (Guida galattica per autostoppisti – Douglas Adams)

Riviste patinate, modelle e modelli portati alla perfezione (da Photoshop), social con mille filtri magici: ci vogliono belli, dalla pelle luminosa, i capelli folti e splendenti, i denti bianchissimi, le unghie assolutamente in linea con le tendenze. Dobbiamo avere l’ultimo modello di smartphone, farci vedere nella nostra macchina costosa, vivere in una villa da sogno. Dobbiamo vestirci soltanto di brand, indossare l’improponibile ma essere cool, dobbiamo stare al passo con le mode. Dobbiamo viaggiare, no, viaggiare no: apparire, ecco; dobbiamo apparire in posti esotici, esclusivi, inarrivabili. Dobbiamo mangiare cose di classe, oppure no, ma dobbiamo mangiare quello che ci si dice di dover mangiare poiché è trendy o virale.

Perché? Ma perché vogliamo sentirci parte di qualcosa, vogliamo partecipare, abbiamo bisogno di sapere che ci siamo anche noi, che valiamo. Qual è la ragione di questo bisogno? Non sono mica Freud, cosa ne so io? Perché siamo insicuri, privi di solide fondamenta, privi di valori reali che ci offrano la certezza di esistere al di là di quello che mangiamo, di come ci vestiamo, al di là di come appariamo? Perché vogliamo essere felici e siamo così disperati da pensare che la felicità risieda nelle cose? Una vera analisi porterebbe senz’altro a risposte profonde, complesse e magari anche sorprendenti ma, essendo io stessa vittima del consumismo, posso soltanto essere soggetto dell’analisi, non l’analista.

“Essi sostengono che il mondo si stia unendo sempre di più, che si stia organizzando in una comunità fraterna, dal momento che accorcia le distanze e trasmette i pensieri nell’aria. Ahimè, non credete a questa unione fra gli uomini! Concependo la libertà come moltiplicazione e rapido soddisfacimento dei desideri, gli uomini distorcono la propria natura giacché generano in se stessi molti desideri e abitudini insensati e sciocchi, molte sventatissime fantasie. Vivono solo per invidiarsi l’un l’altro, per lussuria e ostentazione. Fare pranzi, viaggi, possedere carrozze, gradi e servi che li accudiscano – si considerano tutte necessità per le quali vale la pena di sacrificare persino la vita, l’onore, l’amore per il prossimo; e gli uomini sono pronti ad ammazzarsi se non riescono a soddisfare queste necessità.” (I fratelli Karamazov – F. M. Dostoevskij)

 

Conclusioni

Se pensate che l’omologarvi alla premeditata e manipolativa voracità del consumismo vi renderà anche soltanto un po’ più felici, fatelo. Basta che lo facciate con la consapevolezza che ciò non accadrà.

 

 

Annabelle Lee