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“RITRATTO DI SIGNORA” di Henry James

Quel che conta nell’arte figurativa è la capacità di ottenere un risultato visuale memorabile, che resti bene impresso nella corteccia occipitale di chi osserva. Più che la tecnica utilizzata, più che il soggetto raffigurato, conta la forza emozionale che l’opera riesce a suscitare. Possono le parole di un romanzo sostituirsi alle pennellate di un grande pittore? Sì, se lo scrittore sa sceglierle e combinarle efficacemente.

Lo stile di “Ritratto di signora”

L’autore di questo grande classico della letteratura anglosassone posiziona la sua tela sullo sfondo della seconda metà dell’800 e ci trasporta in un mondo perduto per sempre, al fine di indagare su sentimenti e atteggiamenti che non tramonteranno mai. Fruire della sua arte sinestetica, tale da innestare letteratura su pittura, richiede uno sforzo di adeguamento. Il lettore moderno deve prima placarsi, deve rallentare la frenesia esistenziale che caratterizza la propria quotidianità e calarsi in una dimensione molto meno convulsa. Nel romanzo, infatti, l’azione si muove con la lentezza del carapace anchilosato. Viene trainata senza fretta alcuna da un narratore meticoloso e onnisciente. Un narratore che si dedica alacremente all’analisi introspettiva della protagonista e dei vari personaggi. Ne conseguono pagine e pagine di moti emozionali, perturbamenti emotivi, riflessioni esistenziali e caratteriali. Né si tralasciano le descrizioni minuziose dei luoghi e delle ambientazioni. La prosa complessa, ma mai tortuosa, e il registro lessicale ricco ed elevato servono a realizzare quello che è, di fatto, un ritratto iperrealistico. Da ammirare a poco a poco, senza aspettarsi accelerazioni risolutive o azioni dirompenti. A che serve la fretta?

La protagonista

La signora che Henry James vuole dipingere si chiama Isabel. È una giovane donna americana rimasta orfana e spiantata. Ha una cultura superiore alla media, un’intelligenza vivida, un’elevata autostima e, caratteristica cruciale, un forte desiderio di indipendenza. Non desidera piegarsi alla consuetudine e al conformismo. Almeno nelle intenzioni, i fatti poi la costringeranno a scendere a inevitabili compromessi.

“Si può dire senza indugio che probabilmente Isabel era soggetta a peccare di troppa considerazione di sé; compiva spesso compiaciute ispezioni nel campo del suo carattere; di solito dava per scontato di aver ragione, anche se non ce n’erano le prove; quando capitava, non si sottraeva all’omaggio. […] In fatto di opinioni, si era tracciata da sé una via, che l’aveva costretta a mille ridicoli zig-zag. A volte si accorgeva di aver fatto errori grotteschi, e allora si condannava ad una settimana di ardente umiltà. Ma poi rialzava più che mai il capo; perché non c’era niente da fare, in lei il bisogno di pensare bene di se stessa era inestinguibile. La sua teoria era che solo a queste condizioni la vita era degna di essere vissuta; che bisognava primeggiare, essere consapevoli di avere un bell’organismo (e non poteva fare a meno di riconoscere che il suo era bello), muoversi in un reame di luce, di saggezza innata, di impulsi felici, di ispirazione beatamente cronica. Alimentare i dubbi su se stessi era inutile quasi come alimentare quelli sull’amico più caro: e ognuno dovrebbe cercare di essere per sé l’amico più caro per vivere, così, in eletta compagnia. La ragazza possedeva una certa nobiltà di immaginazione che le rendeva una quantità di servigi e le giocava molti brutti tiri. Passava metà del suo tempo a pensare alla bellezza, all’ardimento, alla magnanimità; era fermamente risoluta a guardare al mondo come ad un luogo di splendore, di libera espansione, di azione irresistibile: considerava detestabili paura e timidezza. C’era in lei una speranza sconfinata di non agir mai male.”

C’è dunque un germe di presunzione nella natura di Isabel, ma non è tale da renderla sgradevole o scostante. È una donna altezzosa ma compassionevole, algida ma benevola, ambiziosa ma non venale. L’autore si premura di farcela conoscere minuziosamente. Non è la figura di Isabel a essere posta in risalto – è descritta come attraente ma non bella, almeno secondo i canoni estetici di quei tempi – bensì il suo animo, così puro e pieno di fiducia da potersi stagliare fra le stelle se non fosse miseramente invischiato fra la penuria umana.

La trama

Isabel, su proposta della zia, lascia gli Stati Uniti e si trasferisce in Inghilterra. Lo scopo è quello di completare la sua formazione, di perfezionare la sua educazione e di conoscere il mondo. Quest’ultima attività, che pare essere la sua preferita, la porta a dichiarare il proprio amore per la libertà. Isabel si intestardisce a ricusare ogni tentativo di abbordaggio al veliero che conduce i suoi sentimenti su spazi immensi e inesplorati. “Ho tante idee” dichiara con orgoglio e speranza, sebbene non sappia come esse possano tradursi in azioni o in qualcosa di tangibile. Nel suo spirito c’è un desiderio inconoscibile di esplorare dimensioni estranee alla normalità, ma dare seguito a questo impeto è cosa più facile a dirsi che a farsi.
Isabel adora vestirsi di nero e la cupezza dell’abito lascia risaltare il fulgore della sua interiorità. La protagonista scelta da Henry James è dunque tanto distinta e incorruttibile da conquistarsi simpatie incondizionate. Non ha l’ingenuità di Madame Bovary, né l’audacia di Anna Karenina, e nemmeno lo spirito di sacrificio di Jane Eyre. In compenso, però, è ammantata di mistero. Il suo broccato nero è metafora della parte inconoscibile dell’animo umano, quella che non sappiamo esplorare o che non abbiamo il coraggio di affrontare.
Isabel è la migliore fra le persone che la circondano, ma non vincerà niente nella partita della sua vita. Riuscirà tuttavia a non perdere mai la stima di sé.

I personaggi

  • La zia – donna eccentrica e pretenziosa, ha un contegno rigido e incorruttibile. Vive separata dal marito perché non lo può soffrire. Si degna di fargli sporadiche visite e si dimostra piuttosto anaffettiva. È una donna classista e perbenista, con un’elevata considerazione del denaro e poca attenzione agli aspetti sentimentali. Ha grandi aspettative per la nipote Isabel e non si contiene dal manifestare il proprio dissenso ogni volta che le scelte della giovane non collimano con le proprie convinzioni. Acida.

 

  • Lo zio – vegliardo riccone americano, trapiantato in Inghilterra, ha avuto enormi successi in ambito professionale e finanziario. Non si può dire altrettanto della sua vita sentimentale e del matrimonio. Se ne rammarica ma non troppo. La sua figura rappresenta il vecchio mondo che se ne va per sempre, lasciando spazio a una nuova società, più evoluta e più liberale. Si affeziona alla nipote e manifesta i suoi sentimenti nell’unica maniera che un banchiere può conoscere: le lascia un patrimonio in eredità. Bacucco.

 

  • Il cugino Ralph – un giovane sfortunato – è ammalato di tisi – che nutre un grande affetto per il padre, che sperimenta la distanza emotiva fra sé e la madre, e che scopre di avere un debole inconfessabile per Isabel. Le sue condizioni di salute non gli consentono di sperare nulla, di intraprendere alcuna avventura, di portare a compimento alcun proposito. Egli esiste e basta, per poco tempo ancora, né può godersi i suoi agi. Diventa un grande amico di Isabel ma non riesce a salvarla da se stessa. Sventurato.

 

  • Caspar Goodwood – giovane imprenditore americano, perdutamente innamorato di Isabel. Solca gli oceani per assillarla con le sue smielate dichiarazioni d’amore. Non si rassegna ai suoi rifiuti, è pronto a sacrificare ogni cosa per lei e non si capacita di non essere corrisposto. Si danna l’anima per amore, ma la cosa grave è che diventa molesto con la sua insistenza. Già uno che di nome fa Gaspare Buonalegna non dovrebbe osare di avanzare pretese a un certo livello, ma l’idealizzazione che fa del suo amore lo rende oltremodo antipatico. Ha il più grande difetto che si possa mai avere nelle questioni romantiche: non sa desistere. Cari amici uomini: l’insistenza non è mai un’arma efficace, semmai un grosso limite che serve solo a gettarvi del discredito addosso. Scriteriato.

 

  • Lord Warburton – giovane, ricchissimo nobile inglese dalla mentalità aperta e dai modi estremamente eleganti. È molto amico di Ralph. Si innamora di Isabel e non perde tempo a proporsi. Il rifiuto di lei lo lascia attonito, oltre che avvilito, ma la sua notevole signorilità non gli consente di scadere nel patetico. È proprio una bella persona, oltre che un ottimo partito,e si fa davvero fatica a comprendere perché Isabel lo rifiuti. Sprecato.

 

  • Henrietta – giovane cronista e scrittrice, dalla lingua pungente e dal temperamento peperino, è la mina vagante del romanzo. Viaggia in lungo e in largo, interagisce con tutti i personaggi e spesso non si fa benvolere per via del suo polemismo incontrollato. Potremmo definirla “troppo sincera”, senz’altro esplicita nei suoi giudizi e in ogni sua esternazione. Ha il merito di smuovere le acque stagnanti della boriosa “alta società” in cui si muove la sua amica Isabel, ma pochi altri pregi. Aggressiva.

 

  • Madame Merle – misteriosa vedova quarantenne. Viene presentata come una dama perfetta e, in effetti, ha tutti i modi e gli attributi della frequentatrice ideale per i salotti buoni. All’apparenza cortese, impettita, delicata, discreta, disponibile, è in verità ciò che un tempo si definiva “un’intrigante”. Muove i fili di un intreccio segreto per compiere un malestro misterioso. Ipocrita.

 

  • Gilbert Osmond – indolente vedovo di mezza età, americano trapiantato in Italia. È inoperoso e inoccupato, vive con poco perché non ha la volontà di impegnarsi in un bel niente. Aspetta la manna dal cielo e gli cade fra le braccia la sciagurata protagonista del romanzo. La sposa e la imprigiona fra il suo bigottismo ipocrita. Lui rappresenta il male, è la personificazione della malvagità più perversa: quella che non ferisce in maniera esplicita ma lo fa subdolamente. Odioso.

 

  • Pansy Osmond – figlia di Gilbert, e in seguito figliastra di Isabel, è una giovinetta genuflessa e assoggettata. Educata dalle suore, secondo il rigido moralismo che tanto piace al padre, non dice mai una parola fuori posto, non compie mai un passo falso, non esterna mai la propria personalità repressa. È annullata sotto il tremendo macigno della volontà del padre, ma nemmeno se ne rende conto. Martire.

L’ambientazione

Nella seconda metà dell’800 troviamo la protagonista intenta a barcamenarsi fra due concezioni diverse del mondo: l’austerità del passato e l’evoluzione progressista del futuro incombente. Cresciuta negli Stati Uniti, non se ne dichiara soddisfatta. Ci vuole ben altro per lei. Giunta in Inghilterra, esplora la nuova realtà con occhi cupidi. Ha voglia di viaggiare, di conoscere, di bearsi della bellezza eterna dei luoghi. Visita Parigi, gira un po’ per l’Europa. Finisce in Italia, scopre Roma e ne rimane completamente affascinata. Passeggia fra le rovine dell’urbe sentendosi a casa. Raccoglie i pensieri fra le vestigia della città eterna e focalizza obiettivi e necessità. La bellezza di Roma la aiuta a esistere, le dona vigore e forza di volontà.

“Isabel andò fuori sola in carrozza quel pomeriggio; desiderava trovarsi lontana, sotto il cielo, in un luogo dove poter scendere dalla vettura e camminare sulle margherite. Già da lungo tempo aveva preso Roma antica a sua confidente, poiché in un mondo di rovine la rovina della sua felicità sembrava una catastrofe meno innaturale. Riposava la sua stanchezza su cose che si andavano sbriciolando da secoli e che pure erano ancora in piedi; calava la sua tristezza segreta nel silenzio di luoghi solitari, dove il carattere contemporaneo di essa si distaccava e si faceva oggettivo, sì che, mentre se ne stava seduta un giorno d’inverno in un angolo tiepido di sole, o ritta nell’odor di muffa di una chiesa dove non entrava nessuno, quasi ce la faceva a sorriderne e a rendersi conto di quanto piccola fosse. E piccola era davvero, tra le immense memorie di Roma; e il senso tormentoso che ella aveva della continuità delle umane sorti la faceva agevolmente risalire dalle piccole cose alle più vaste. Era giunta a un’intesa profonda, tenera con Roma; la città si fondeva alla sua passione e la moderava.”

Le tematiche trattate

Questo romanzo porta sotto i riflettori i pericoli nei quali si incappa per colpa delle convenzioni sociali, nonché i difetti intrinseci al matrimonio (almeno, quelli legati a un matrimonio di quei tempi). Quest’ultimo è rappresentato come una prigionia emotiva dalla quale sembra non esserci via d’uscita. Con tremenda timidezza si suggerisce la remotissima ipotesi della separazione, la parola divorzio è del tutto impronunciabile: un azzardo troppo enorme da intraprendere. Eppure ce ne sarebbe bisogno, sarebbe l’unico rimedio possibile. Quando si sbaglia, quando si compie un terribile errore di valutazione, oppure quando si è vittima di inganni e mistificazioni, sarebbe giusto poter riacquistare la sacrosanta libertà. Che senso ha un moralismo tanto bieco da condannare all’infelicità perpetua? Henry James denuncia questo grave problema e prova a dare uno scossone alle inveterate ingiustizie sociali della sua epoca.
C’è anche il perverso voyeurismo di chi non ha meglio da fare che organizzare matrimoni o nutrire aspettative sulle azioni altrui. Molti dei personaggi di questa storia commettono il madornale errore di mettere bocca sulle scelte di vita della protagonista e di idealizzarla fino all’inverosimile. Isabel è per loro un simbolo. Sognano per lei quelle vette irraggiungibili che loro non sono stati in grado di scalare, la pensano più coraggiosa e intraprendente di quanto in realtà non sia. Meglio lasciare più spazio all’autodeterminazione per non incappare in grosse delusioni.
Infine viene trattato lo “scontro di civiltà” fra il progressismo della società statunitense e il tradizionalismo di quella inglese (che Henry James visse in prima persona, in quanto americano trapiantato in Inghilterra). È il confronto cruciale tra modernità e tradizione. Dirigersi nettamente nell’una o nell’altra direzione può essere pericoloso, ma l’autore sembra suggerire l’impellente necessità di trovare una mediazione.

Il mistero

Sotto la superficie apparentemente quieta di questo elegante costrutto letterario si nasconde un segreto tremendo. La storia si stringe a poco a poco attorno a questo viluppo inestricabile e finisce per asfissiare la protagonista. A lei va l’onore delle armi ma non la soddisfazione della vittoria.

 

Orazio C.