Pensieri su Guerra e pace
“Mentre un’orrenda follia massacra
centomila uomini in un mucchio fumante;
– Poveri morti! Nell’estate, nell’erba, nella tua gioia,
Natura! tu che santamente creasti questi uomini!… –”
Inizierò queste mie riflessioni sul libro di Lev Nicolaevič Tolstoj, Guerra e pace, confessando le mie difficoltà nei suoi confronti. Difficoltà di lettura, di comprensione, di riflessione e di espressione di un pensiero al riguardo. A volte mi capita, con i libri, così come mi capita anche con la vita. Non so comprendere quello che leggo, non so comprendere quello che accade intorno a me, anche se sembra chiaro che il problema sia dalla mia parte: il libro è universalmente riconosciuto come un capolavoro; la vita continua nonostante le sue assurdità; quindi devo essere per forza io. La cosa non riveste alcuna importanza per il quadro generale delle cose: la mia difficoltà nel comprendere un libro o gli orrori del mondo conta esattamente quanto conterebbe se non avessi queste difficoltà, e allora perché parlarne? Forse perché se non ne parlassi mi sembrerebbe di fingere: fingere di capire un libro che non ho compreso. O di accettare: accettare di far parte dell’assurdo orrore del mondo. Il risultato non cambia, in quanto il libro resterà incompreso e io resterò parte di tutto, ma la consapevolezza di ciò mi dà il coraggio di leggere altri libri che non comprenderò e di vivere altre assurdità che il mondo ha in serbo per me.
“Che cosa significa tutto questo? Perché è accaduto? Che cosa ha spinto questi uomini ad incendiare case e a massacrare i propri simili? Quali sono state le cause di tali avvenimenti? Quale forza ha costretto la gente a comportarsi così?”
(Guerra e pace)
Il concetto di pace m’infastidisce molto. Imputo alla pace di esistere soltanto in correlazione alla guerra, in quanto non si potrebbe parlare di pace se non esistesse la guerra. Tutti a richiedere la pace, a sperare nella pace, a invocarla a gran voce come fosse un balsamo guaritore di morte, mutilazioni, torture e indicibile abominio umano. Non sembra un tantino comodo riversare tutte queste aspettative su un concetto che è soltanto un derivato del reale problema? Non è da ipocriti, da manipolatori e da guerrafondai? Le domande sono retoriche, non agitatevi imbarazzati fra buonismo e senso di colpa; la risposta è: certo che lo è. E se pensate che la soluzione alla guerra sia la pace, allora sappiate che per avere la pace è necessaria la guerra. Non che io abbia una soluzione per la guerra. Suppongo che la guerra sia effettivamente senza soluzione. La guerra non può essere una soluzione, poiché non ha soluzione. Ma, immagino, c’è chi la pensa diversamente.
“Se le guerre russe ebbero come meta, al principio del secolo attuale, la grandezza della Russia, tale meta poteva essere raggiunta anche senza le guerre e senza invasione. Se la meta fu la grandezza della Francia, poteva anch’essa essere raggiunta senza la rivoluzione e senza l’impero. Se la meta fu la divulgazione delle idee, la stampa poteva raggiungerla assai meglio dei soldati. Se la meta fu il progresso della civiltà, è molto facile pensare che, oltre alla distruzione degli uomini e delle loro ricchezze, esistono altri metodi più idonei per diffonderla.”
(Guerra e pace)
Tolstoj doveva pensarla come me – ma meglio – e non si limita soltanto ad appurare l’inutilità della guerra (l’inutilità ai fini idealmente preposti, poi è chiaro che la guerra è utile per qualcuno), ma si addentra nella sua tragicomica assurdità. Non c’è alcuna nobiltà nella guerra, nessun eroismo; tutto si riduce alla distruzione, alla morte e all’orrore. Lui è rassegnato: tutto va così come deve andare e all’uomo non resta che imbracciare il suo fucile che non sa usare e andare incontro a un destino più grande di lui.
Ma la mia speranza resta questa:
“Un giorno faranno la guerra e nessuno ci andrà.”
(Carl August Sandburg)
Ah, e mentre in Russia si vive di guerra e pace, in Francia si vive di rosso e nero. Buone letture.