
Pensiero, pensiero critico e non-pensiero
Il sonno della coscienza genera suini?
Ciò che Orwell temeva erano coloro che avrebbero potuto mettere al bando i libri.
Ciò che Huxley temeva era che non ci sarebbe stato motivo di mettere al bando i libri, dal momento che nessuno avrebbe più voluto leggerne uno.
Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato dell’informazione.
Huxley temeva coloro che ci avrebbero fornito così tante informazioni da ridurci all’assoggettamento e all’egoismo.
Orwell temeva che la verità ci sarebbe stata occultata.
Huxley temeva che la verità sarebbe stata annegata in un mare di irrilevanza.
Orwell temeva che saremmo diventati una civiltà schiavizzata.
Huxley temeva che saremmo diventati una civiltà futile, eterodiretta mediante impulsi tattili, orge di sesso, droghe e alcolici.
Come osservato da Huxley in “Ritorno al nuovo mondo”, i libertari e i razionalisti che sono sempre pronti ad opporsi alla tirannia sottovalutano il fabbisogno quasi infinito di distrazioni che l’uomo manifesta.
In “1984”, aggiungeva inoltre, le persone vengono controllate infliggendogli dolore. Ne “Il mondo nuovo” vengono controllate somministrandogli piacere.
In breve, Orwell temeva che ciò che odiamo ci avrebbe rovinato, Huxley temeva che ciò che amiamo ci avrebbe rovinato.
(Questa riflessione è di Neil Postman, sociologo statunitense, saggista, docente e critico dei mass media e della cultura contemporanea. Postman portò avanti il progetto “Media ecology”, studiando in che modo i mass media influiscono sui comportamenti della società, sulle convinzioni politiche e sulle idee della popolazione.)
Se Orwell fosse ancora vivo scriverebbe di una nuova fattoria degli animali, abitata solo da suini.
Sarebbe una storia in cui uomini dalle coscienze addormentate sono come maiali all’ingrasso. Sarebbero capaci di ingurgitare tutto ciò che gli viene posto davanti, senza mai chiedersi da dove provenga e perché gli sia stato messo a disposizione. Mangiare è sinonimo di incamerare, assorbire, inglobare.
Gli uomini-porci contemporanei ingoiano informazioni preordinate e reagiscono con impulsi semplici, istinti basilari. Se gli si suggerisce (in continuazione) di concentrarsi sulla sessualità, sono capaci di non pensare ad altro. Sbavano e sono felici. Se gli si propinano notizie futili su persone stupide, rese famose dalla pochezza generale, sono capaci di appassionarsi alla loro nullità. Se gli si prospettano catastrofi ed emergenze reiterate, non fanno altro che grugnire di paura. Paura di perdere per sempre le porcherie con cui vengono quotidianamente pasciuti.
Nella nuova fattoria degli animali di Orwell, il mondo sarebbe un enorme allevamento intensivo di suidi che si allenano a non pensare mai.
La suadente arte della (dis)informazione
Tutti hanno il diritto di avere un’opinione, ed è certamente utile disporne di un paio quando un sondaggista si presenta al nostro cospetto. Ma le opinioni contemponee sono di tipologia molto diversa rispetto a quelle del diciannovesimo – o del diciottesimo – secolo. Probabilmente sarebbe più corretto denominarle emozioni piuttosto che opinioni, il che spiegherebbe come mai tendono a cambiare da una settimana all’altra, come ci indicano i sondaggisti.
Ciò che sta accadendo oggi è che la televisione sta alterando il significato di “essere informati” mediante la creazione di una specie di informazione che potremmo opportunamente definire disinformazione.
Disinformazione non significa informazione falsa. Significa informazione fuorviata – informazione fuori luogo, irrilevante, frammentata o superficiale -, un’ informazione che crea l’illusione di sapere qualcosa ma che nei fatti conduce a un’informazione a senso unico. Nel dire questo non intendo affermare che la televisione si prefigge deliberatamente di privare la gente di una comprensione contestualizzata e coerente del proprio mondo. Intendo dire che quando le notizie vengono confezionate sotto forma di intrattenimento, questo risultato è inevitabile. E quando dico che i talk show televisivi intrattengono ma non informano, sto affermando qualcosa di molto più serio rispetto al fatto che noi veniamo privati dell’informazione. Sto dicendo che stiamo progressivamente perdendo il senso di ciò che significa essere bene informati.
“L’ignoranza è sempre correggibile. Ma cosa possiamo fare se (ogni giorno) trasformiamo l’ignoranza in conoscenza?”
Questa citazione è tratta da un saggio del professor Neil Postman, sociologo e saggista statunitense di cui sopra.
Postman analizzava il sistema di divulgazione delle informazioni in televisione e nei mass media in generale. Criticava l’ingente somministrazione al pubblico di futilità e stupidaggini di ogni sorta (informazioni relative a pettegolezzi su persone stupide che diventano famose solo perché i mass media forniscono loro una eco deplorevole), ma criticava anche il metodo di organizzazione dei talk show televisivi e la ricerca costante del sensazionalismo.
Lo spettacolo e la spettacolarizzazione a ogni costo sono qualcosa di fuorviante, che penalizza la reale informazione in luogo di una sensibilizzazione “indirizzata” a senso unico.
È attraverso la spettacolarizzazione, affermava Postman, che in televisione trova terreno fertile il radicalismo politico più estremo. Ed è così che viene più facilmente divulgato.
Ma se vogliamo ragionare in senso più ampio, il problema nasce anche e soprattutto in fase di scolarizzazione. Perché la televisione, questo modo moderno e spettacoloso di fare televisione, trova così tanti spettatori-ricettori che assorbono tutto senza porsi domande? Perché la massa delle persone non viene educata a ragionare sulle informazioni che le vengono fornite, bensì viene indottrinata con fare paternalistico.
La scuola è spesso un processo di riempimento di recipienti vuoti (mi riferisco alle menti degli studenti), che non vengono sospinte al funzionamento autonomo. Riporto una citazione di Doris Lessing:
In un mondo ideale, ciò che si dovrebbe dire a ogni bambino, ripetutamente, durante il suo percorso scolastico è qualcosa del genere: “Ti trovi in un processo di indottrinamento. Non siamo ancora riusciti a realizzare un processo di formazione che non sia un processo di indottrinamento. Ci dispiace, ma questo è il meglio che sappiamo fare. Ciò che ti viene insegnato qui è un amalgama del pregiudizio corrente e delle scelte di questa particolare cultura contemporanea. Il minimo sguardo alla storia ti mostrerà quanto transitorio sia (questo sistema culturale). Tu vieni edotto da persone che si sono conformate a un regime di pensiero prescritto dai loro predecessori. È un sistema che si perpetua nel tempo autonomamente. Coloro che tra di voi sono più solidi e individualisti degli altri, saranno incoraggiati ad abbandonare questo sistema culturale e ad educarsi da soli – a educare le vostre personali convinzioni. Coloro che invece rimarranno nel sistema (dell’indottrinamento) dovrebbero però ricordarsi, sempre, per tutto il tempo, di essere stati plasmati e modellati negli stampi ristretti che sono necessari a questa particolare società”.
Per concludere
Ricordo che quando andavo al liceo avevo un’insegnante di letteratura italiana e latina che cercava di invitarci alla riflessione su tutto ciò che studiavamo e su tutto ciò che succedeva in quel periodo storico. Non faceva che ripeterci: “studiate sul libro, ma ragionare sul perché. Leggete i giornali ma chiedetevi perché. Guardate la tv ma domandatevi ogni sorta di interrogativo su ciò che vi raccontano. Dovete essere capaci di guardare il mondo come se foste degli alieni. Guardatelo da una prospettiva “altra”, dal di fuori. Allora sarete maturi.”
“Chi non vuol ragionare è un fanatico; chi non sa ragionare è uno sciocco; e chi non osa ragionare è uno schiavo.”
(William Drummond)