• No products in the cart.

Come è nato san Valentino

Oh! Valentino vestito di nuovo,

come le brocche dei biancospini!

Solo, ai piedini provati dal rovo

porti la pelle de’ tuoi piedini;

porti le scarpe che mamma ti fece,

che non mutasti mai da quel dì,

che non costarono un picciolo: in vece

costa il vestito che ti cucì.

Costa; ché mamma già tutto ci spese

quel tintinnante salvadanaio:

ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese

per riempirlo, tutto il pollaio.

Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco

non ti bastava, tremavi, ahimè!,

e le galline cantavano, un cocco!

ecco ecco un cocco un cocco per te!

Poi, le galline chiocciarono, e venne

marzo, e tu, magro contadinello,

restasti a mezzo, così con le penne,

ma nudi i piedi, come un uccello:

come l’uccello venuto dal mare,

che tra il ciliegio salta, e non sa

ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,

ci sia qualch’altra felicità.

Chi non la ricorda? La musicalità della poesia ci ha aiutato senz’altro a tenerla in mente.

Chi non ha in sé il fanciullino pascoliano che poeta e osserva il mondo con occhi color arcobaleno?

Molti, temo. Ammetto di esser ricorsa a santo Google per trovare il testo intero. La mia memoria era ferma a “il vestito che ti cucì”. Delle altre frasi ne ricordavo sprazzi, e immagini.

Mi impressionò molto, all’epoca, la rappresentazione semplice e immediata di un piccolo contadino, affamato in inverno (perché le galline smettono di fare le uova) e che si sazia solo in tarda primavera, vestendosi da capo a… non piedi, visto che il salvadanaio non contiene abbastanza denaro da investire in un paio di scarpe.

Il resto che non ricordavo regala immagini colorate, come le brocche dei biancospini, quelle piante che in autunno mostrano palline vivaci e profumate, e che si coprono a Maggio di infiorescenze bianche in un’esplosione di primavera.

E quell’uccello? Una delle frasi più sottilmente decadenti mai costruite (non ho letto molta poesia, quindi magari ce ne sono un milione di più sottilmente decadenti): dopo parole come beccare (cibarsi), cantare e amare, c’è la nota amarissima che in certe condizioni esistenziali non si può ambire a conoscere altra felicità.

Non essendo un’esperta di Pascoli, mi fermo qui sull’analisi della poesia, ma mi chiedo: come sarà diventato Valentino?

Lo immagino finalmente vestito fino ai piedi, accompagnare la giovane figlia dei vicini di podere a fare una passeggiata fino alla chiesa del paese, sotto lo sguardo vigile dei genitori di lei, e farla sorridere e innamorare con frasi scherzose e galanti.

Lo immagino affrancato dall’ignoranza, capace di leggere e scrivere, e scrivere poesie d’amore alla fanciulla dagli occhi dorati e i capelli color castagna.

E assurto a condizione di eroe personale da quel cuore in sboccio, lo immagino verso metà Febbraio sentirsi dare del santo perché tanto gentile da essersi ricordato di portare uno scaldino sul malandato calesse che li condurrà, sempre seguiti a vista dagli adulti più adulti di loro e più adulti nei ricordi, nelle fatiche, nei progetti forse cessati, forse accantonati, e più adulti nella speranza che quei giovani costruiscano ricordi migliori, e vite migliori, a fare una passeggiata intorno alla modesta casa, così, solo per sentirsi grandi sopra le assi di legno inchiodate su ruote malandate trascinate da un ronzino color cenere. E infatti il giro sarà breve, ma pieno di progetti e di sogni. E con la speranza che ci sia altro, oltre le ciliegie rinfrancanti.

Santo Valentino!, esclama lei. Un santo che mutua velocemente in san per comodità di pronuncia.

Ma forse non è nata così la tradizione, vero?

Loredana Conti