
A volte è meglio la forchetta
Avete mai provato a far sciogliere in un liquido la polvere di cacao, di caffè, di orzo o di altre sostanze, con una forchetta invece che con un cucchiaio?
Se lo avete fatto avrete notato quanto sia più facile, più veloce, più efficace: la polvere gira attraverso i rebbi, ogni minuscolo granello si separa dai suoi fratelli e l’insieme diventa una perfetta bevanda saporita senza sorprese di grumi sgradevoli.
Farlo con il cucchiaio è più lungo e spesso meno definitivo (quante volte, dopo averlo usato, avete trovato coaguli densi sul suo bordo, o sul fondo del contenitore?).
Il cucchiaio va bene per la minestra, non per la miscelazione. Va bene per qualcosa di pronto, per qualcosa di già perfettamente amalgamato. Accoglie e raccoglie, non ha altre funzioni. Infatti, al contrario della forchetta, lo usiamo solo da un lato, quello concavo.
Bene, ma non desidero parlare di cucina. Desidero parlare di relazioni.
E allora: forchetta come metafora della conoscenza delle persone.
Più esattamente: della costruzione delle relazioni con le persone.
Accoglierle e viverle senza farle passare per il vaglio delle loro unicità, attraverso i “rebbi” del nostro ascolto attivo, aperto, libero, rischia di trasformarle in insiemi né uguali e né equipollenti, ma separati nel profondo, anche quando apparentemente congiunti.
Mischiati, ma non sufficientemente.
Unità a compartimenti stagni.
Lasciar fluire invece gli aspetti singoli delle persone con cui ci relazioniamo, pur non perdendo di vista la loro interezza, manifesta e non, sforzandoci a conoscere senza pregiudizi i loro pensieri più segreti, i loro sogni più arditi, le loro aspirazioni più nascoste, ci aiuta a trovare quegli incastri, quelle armonie, quelle affinità che consentono un’ottima cioccolata calda, senza la sorpresa sgradevole di un grumo amaro.
Loredana Conti
Sorry, the comment form is closed at this time.
Pingback: Il club dei mangiatori di canapa – BlogEntheos