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“Tess dei d’Urberville” di Thomas Hardy – trama e recensione

Non conoscevo Thomas Hardy, se non per un titolo, udito più volte, di un suo romanzo e conseguente trasposizione cinematografica: “Via dalla pazza folla”, che spero di recuperare a breve.

Di “Tess dei d’Urberville”, invece, mi ha incuriosito molto la trama, mentre cercavo nella sezione libri classici di una piccola libreria in un luogo di villeggiatura in cui mi trovavo.

Quale ineguagliabile scoperta!

Un romanzo che mi ha catturata, dallo stile sublime alla trama costruita a opera d’arte, dalle caratterizzazioni dei personaggi mai banali alle meravigliose descrizioni dei paesaggi e delle varie vicende. Una completezza difficile da trovare.

“Dietro alle spalle, la processione silenziosa di alberi e colline prese a vivere in scene fantastiche, fuori della realtà, e l’occasionale stormire del vento si trasformò nel sospiro di un’anima immensamente triste, ampio come l’universo nello spazio e la storia nel tempo.”

I temi di “Tess dei d’Urberville”

Thomas Hardy, sebbene spesso paragonato a Jane Austen, è nato poco più di trent’anni dopo la sua dipartita, infatti, in questo romanzo, ma credo anche negli altri, rispecchia una società sicuramente successiva a quella narrata dalla Austen, sebbene ne subisca – a mio parere – l’influsso romantico. Mi ha sorpreso il fatto che Hardy sia passato a miglior vita nel 1928, quindi più vicino a noi, di quanto lo fosse la Austen. Di sicuro è stato bello leggere delle prime macchine agricole, i primi rudimenti per aiutare il duro lavoro nei campi, già questo è un segno della vicinanza delle epoche: la sua e la nostra.

Nonostante nel romanzo sia presente una forte componente religiosa, se ne percepisce soprattutto una sorta di avversione, una educata denuncia alla rigidità morale tipica del periodo tardo vittoriano.

La componente romantica c’è, ma è percepita come un leggero soffio, i toni più marcati sono quelli tragici, che mi hanno riportato a Shakespeare, più che alla Austen, alla quale è spesso paragonato.

Hardy, infatti, denuncia la società e lo fa per mezzo della povera Tess: donna di bassa levatura sociale, povera, bella e mite. La corrente della quale fa parte questo magnifico autore è quella del realismo dell’epoca tardo vittoriana, quando gli animi degli artisti cominciavano a uscire dai binari, pur mantenendo la rotta, entrando così nel primo abbozzo di modernismo novecentesco, con una spiccata tendenza al pessimismo (il nuovo incute timore, laddove il vecchio e criticato dona sicurezza). A questo si aggiunge una marcata sfiducia in un Dio buono e misericordioso, per Hardy, infatti,  è più una questione di fato, nel quale l’uomo si destreggia come può, cercando di sopravvivere a un “qualcosa” sul quale non ha alcun potere.

“Se Tess avesse potuto afferrare l’importanza dell’incontro si sarebbe chiesta perché quel giorno fosse destinata a essere notata e desiderata dall’uomo sbagliato e non dall’altro: quello giusto amato sotto tutti gli aspetti; quasi che l’umanità fosse in grado di poter sempre offrire ciò che è giusto e che è desiderato. Ma l’uomo che poteva avvicinarsi al suo ideale, tra i ragazzi conosciuti, non era per Tess che un’impressione fugace e quasi dimenticata.

Nella difettosa esecuzione del piano ben disposto dell’universo, raramente l’invito provoca l’arrivo di chi si invoca, e raramente si incontra l’uomo da amare, quando viene l’ora per l’amore. La natura non dice troppo spesso “guarda” alla povera creatura nel momento in cui il guardare potrebbe portare a una lieta conclusione; né risponde “qui” alla carne che grida “dove?”; finché tutto questo nascondersi e cercarsi diventa un gioco penoso e senza mordente.

Potremmo chiederci se all’acme e alla sommità dell’umano progresso questi anacronismi saranno modificati da un’intuizione migliore, da un più stretto rapporto reciproco nell’ingranaggio sociale, che non ci scuota in ogni direzione, come ora; ma non si può predire un simile ideale, forse nemmeno concepirlo come possibile. Così, anche nel caso attuale, come in milioni di altri, le due parti di un perfetto insieme non si sono incontrate al momento perfetto: la controparte assente, vagando indipendente per la terra, aspetta in crassa ottusità un tempo che giungerà sempre troppo tardi.”

In “Tess dei d’Urberville” ci sono tutte queste componenti e il tutto è accompagnato da una prosa potente e a tratti lirica (non dimentichiamo che Hardy è anche poeta), una poesia in prosa, soprattutto nei confronti della natura e della vita rurale, attraverso descrizioni dettagliate ma, allo stesso tempo, musicali. Una voce che è quella di un narratore onnisciente, che tutto vede e tutto coglie e che non si limita a riportare i fatti così  come li vede, li sa comprendere ed sa estrarre da essi emozioni e sentimenti. Un narratore che è lettore dell’opera, che riceve dalla scrittura stessa gli strumementi necessari a vivere esso stesso le vicende, a diventare esso stesso un personaggio.

Si vive la lettura come fosse una esperienza tangibile, come fosse la vita stessa a narrare di sé.

“Abraham continuò a parlare, più per il piacere di pronunciare parole che per quello di essere udito, così l’astrazione della sorella gli passò inosservata. Appoggiandosi agli alveari, e col viso rivolto verso l’alto, prese a far considerazioni sulle stelle, i cui freddi battiti pulsavano in mezzo alla nera vacuità del cielo in un sereno distacco da quelle due pagliuzze di vita umana; le chiese quanto quelle luci scintillanti fossero lontane e se Dio si trovasse dietro a esse. Ma di tanto in tanto il suo cicaleccio infantile ricorreva a ciò che aveva impressionato la sua immaginazione ancor più profondamente dei misteri della creazione: se Tess fosse diventata ricca sposando un signore avrebbe abbastanza denaro per comperare un cannocchiale così grosso da portargli le stelle vicine almeno quanto Tettlecombe-Tout?”

Personaggi e trama di “Tess dei d’Urberville”

La protagonista indiscussa è colei che dà il titolo al romanzo, solo che lei è Tess Durbeyfield, discendente di un’antica e rinomata famiglia: i d’Urberville. Un cognome che è storpiato, come se si fosse voluto cancellarne ogni traccia, forse un monito, che però al padre di Tess, uomo inetto e avvinazzato, pare un miraggio di una vita, finalmente, agiata. Lo scopre per caso e da allora inizia per la famiglia, e per Tess nello specifico, una spirale discendente verso il nulla di quel tutto ormai perduto.

La protagonista è un’avvenente giovane donna di umili origini e di semplici desideri, una ragazza realista e mite, fin troppo mite, ma allo stesso tempo orgogliosa e tenace. Un cuore grande sfregiato da quell’ineluttabile destino tanto caro a Hardy.

Un incontro fugace con Angel Clare, l’angelo buono della storia, che serba in sé un fato crudele. Uno sguardo che avrebbe dovuto essere di più, ma che così non è stato.

Un altro appuntamento, meno casuale del primo, la porta al cospetto di Alec d’Urberville, il diavolo della storia, ricco ragazzo dall’animo rozzo e dallo spirito corrotto e mendace.

Due uomini e un solo destino, del quale la giovane Tess è in balia, nonostante la sua forza e a dispetto del vento contrario, lei lotta con fierezza nei confronti di sé stessa e con una umiltà tale da renderla quasi evanescente, agli occhi del lettore (non a caso il sottotitolo del romanzo è “una donna pura”), quasi fosse una entità angelica e delicata.

I due debosciati genitori di Tess la mandano tra le braccia del demonio d’Urberville, convinti che la sua bellezza riporterà la famiglia agli allori di quel cognome, usurpato ingiustamente da Alec, che era stato baluardo di agi e ricchezze.

Tess è una giovane e modesta contadina, timorata di Dio e dotata di una rara mitezza, che va diretta nella tana dell’orso, senza alcuna arma in suo possesso, senza alcuna conoscenza del mondo al di fuori di quel piccolo e povero villaggio in cui vive.

Sebbene lei non ceda ad alcuna delle rudi e ingannevoli tentazioni a cui Alec la sottopone, nonostante le insistenze ai limiti dello stalking, lei rimane abbastanza stoica. Tuttavia, la sua bontà d’animo e la forza del suo diniego la portano dritta nell’alcova del bruto; non è così che chi è rifiutato più si accanisce nella lotta per conquista?

La delicatezza con cui Hardy tratta questo tragico momento è di una bellezza sconvolgente.

“Ma qualcuno potrebbe chiedermi: dove si trovava l’angelo custode di Tess? Esisteva una provvidenza che tutelasse la sua ingenua fiducia? Forse, come quell’altra divinità di cui parlava l’ironico Tisbita, stava chiacchierando, o era inseguito, o era in viaggio o forse, stava dormendo e non si era svegliato.

Perché su questo bel tessuto femminile, sensibile come una sottile ragnatela e sino ad allora immacolato come la neve veniva tracciato un disegno così rozzo come quello che era destinato a ricevere? Perché così di sovente ciò che è rozzo s’impossessa di ciò che è più delicato: l’uomo sbagliato, di una donna, la donna sbagliata, di un uomo?

Migliaia d’anni di filosofia analitica non sono riusciti a spiegarlo al nostro concetto di ordine. Si potrebbe infatti ammettere la possibilità di una vendetta nascosta nella attuale catastrofe; senza dubbio qualche antenato di Tess d’Urberville, in cotta di maglia, tornando a casa eccitato da una rissa aveva usato lo stesso metro, ancor più spietato forse, verso le contadine del suo tempo. Ma, se far ricadere i peccati dei padri sui figli possa essere una morale abbastanza valida per i teologi, questa viene rifiutata dalla comune natura umana; e quindi non servirebbe a migliorare la situazione.”

Tess non si spezza, però, procede a testa china e cerca in ogni modo di accettare il destino, che è crudele in un modo feroce. E il frutto di quel buio si trasforma in notte fonda. Eppure lei si rialza e si innalza sopra ogni cosa, con semplicità e dedizione, fino ad Angel. Ricompare per caso, come se il fato non fosse già stato abbastanza beffardo, mescola ogni carta e rimette in bilico la dolce Tess.

“Nella scala sociale la loro posizione era forse la più fortunata di tutte, stando al di sopra di quella linea dove ha fine l’indigenza e al di sotto di quella dove le convenances soffocano gli slanci naturali, e la fatica per comportarsi con logoro conformismo crea un senso di perenne insoddisfazione.

Così trascorse la stagione frondosa, quando l’arborescenza sembra essere l’unico scopo di quel mondo all’aria aperta. Tess e Clare inconsciamente, si studiavano a vicenda, sempre in bilico sull’orlo della passione ma apparentemente, tenendosene fuori. Invece, stavano convergendo verso un medesimo punto, dominati da una legge irresistibile, come due torrenti in un’unica valle.”

Ci prova con tutte le forze, tenta con ogni mezzo di evitare l’inevitabile, come fosse un nuovo hobby, degno della più resistente eroina mai esistita. Chiede sostegno alla madre, chiede persino il sostegno di quel Dio che pare – per l’appunto, mio caro Hardy – non aver il potere di sostenerla.

Così cede, cede alla sete di amore, a quel anelito di redenzione, che sa di non meritare, sebbene sia a portata di mano. Cede, sì, ma non lascia al caso deliberare la sua sorte e confessa all’amato ogni sua “non” colpa.

Stupida, stupida ragazzina! Come si fa a essere talmente ingenua, sprovveduta e fiduciosa, di nuovo.

“Ma l’aspetto degli oggetti esterni sembrò subire una trasformazione a mano a mano che la sua narrazione procedeva. Il fuoco sotto la grata era malizioso… diabolicamente bizzarro, come se non si preoccupasse minimamente della difficile posizione di lei. Il parafuoco ridacchiava pigramente mostrando uguale indifferenza. La luce riflessa dalla bottiglia dell’acqua era impegnata soltanto in un problema cromatico. Tutti gli oggetti materiali intorno esprimevano con terribile monotonia la loro mancanza di responsabilità. Eppure nulla era cambiato da un attimo prima, quando lui l’aveva baciata, o piuttosto nulla nella sostanza delle cose. Era mutata la loro essenza.”

Come farà la dolce Tess a rialzarsi, stavolta? Come fuggire a quel peccato, che sembra ricordarle costantemente il nostro essere figli della più grande colpa dell’umanità, proprio secondo quella religione che ha più punizioni da infliggere che benedizioni da elargire?

Accettazione e invisibilità diventano gli stendardi del suo nuovo agire, di nuovo senza spezzarsi. Piegata in due dal dolore, conscia di ogni torto e immemore di tutti i pregi, sola in un mondo che non concepisce ancora completamente la donna senza un uomo o una famiglia alle spalle, sicuramente accetta la posizione di povertà e di necessità di un lavoro, ma non di libertà di scelte.

Tess fatica, scappa, tenta il tutto per tutto e sembra quasi poter resistere al tempo e alle intemperie della vita, ma il demonio è dietro all’angolo, che attende la piccola debolezza, la fatica eccessiva, il tormento del cuore.

Di nuovo, chiede aiuto – non più a una madre che non le ha dato altro che la vita – ma al suo stesso cuore calpestato e ora in altre mani. Quel muscolo vorrebbe battere, pulsare forte e farsi sentire, rinvigorire gli animi perduti sul nulla da cui si erge la società dell’epoca – allora, come ora – in cui una regola vale più della natura umana.

Chiede, prega, rimprovera infine.

“Considerando quel che Tess non era, Clare trascurò quello che era e dimenticò che l’incompleto può valere più dell’intero”

Il diavolo tenta con insistenza e la vita percuote con malvagità, come difendersi; perché non lasciare finalmente ogni dubbio e farsi trasportare da una corrente salvifica? Poiché non c’è salvezza, là dove non c’è amore, e Tess vuole l’amore, arriva perfino a capire di meritarlo e se lo prende con la forza, con eccessiva forza.

Il troppo tirare spezza la corda, e la fune che legava la protagonista era tesa da troppo tempo.

Anche Tess si piega, per spezzarsi alla fine e lo fa con eleganza, arricchita da una rassegnazione che non è resa, ma consapevolezza di una guerra terminata e di una vittoria mai mirabile all’orizzonte.

Un semplice assaggio è tutto quello che le viene concesso e niente più.

“Sciupato e brutto com’era diventato, era chiaro che lei non notava il minimo difetto nel suo aspetto. Per lei incarnava, come un tempo, tutto ciò che era perfetto, fisicamente e spiritualmente. Era ancora il suo Antinoo, perfino il suo Apollo; e per l’affezionato sguardo di lei, in quel giorno non meno di quando l’aveva visto per la prima volta il suo volto malato era bello come il mattino; non era forse il volto dell’unico uomo sulla terra che l’aveva amata in modo puro e che aveva creduto in lei pura?”

Il lieto fine lei lo ha avuto, ha scelto come terminare la propria storia. Almeno in questo ha avuto l’ultima instabile parola.

Hardy è stato magistrale nel descrivere avvenimenti comuni, restando focalizzato sull’agire umano legato e slegato dalla fede e di come questa sia un inutile ostacolo al naturale fluire della vita. Come le colpe siano sempre a senso unico e come il buono possa venir macchiato dal male, là dove invece quella fede e quel Dio misericordioso si voltino altrove piuttosto che svolgere il compito primo al quale sarebbero tenuti di obbedire.

Conclusioni

Il forte schiaccia il debole e il ricco usurpa il povero, mentre la natura rimane un’attenta osservatrice, una culla rincuorante e un esempio da imitare.

 

Giorgia Golfetto