• No products in the cart.

“Nanà” di Émile Zola

Nanà di Émile Zola è un classico e come tale non risente dello scorrere del tempo né dei cambiamenti sociali, economici e politici. Nanà è sempre attuale, poiché l’autore – dalla spiccata intelligenza e lungimiranza – ha lasciato impresso “nero su bianco” una realtà così vera da essere terrificante.

Spoiler alert

Sì, questo romanzo è terrificante. Orribile in ogni sua più recondita parola. A tratti è persino malvagio, spietato. Una belva feroce e affamata, che inghiotte il lettore, pagina dopo pagina. Ogni parola è una lama affilata, pronta a lacerare i succulenti pensieri che scaturiscono dalla lettura. È un romanzo sleale, nella sua disarmante complessità, perché non vela la nudità sconcia della verità. Oh, come è scomoda la verità. Non è reale, se non è vera e non è vera se ha ornamenti e fronzoli, sentimentalismi e orpelli stilistici atti a commuovere e far sospirare. Come già accennato in un mio precedente commento a Germinale – sempre dello stesso autore –, lo scrittore è il massimo o uno dei massimi esponenti del naturalismo. Zola amava raccontare le sporche vicissitudini così come erano, spogliatosi del suo borghesismo – perché era un borghese a tutti gli effetti – e dell’ipocrisia tipica di quella classe privilegiata, ha messo la lente di ingrandimento alla sua inarrivabile penna e ha tessuto la tela di un’epoca mai davvero passata. Sì, ora siamo evoluti, siamo progrediti a livello tecnologico e industriale, a livello medico e… direi che può bastare così. Non siamo, tuttavia, davvero evoluti, abbiamo cambiato maschera a determinati meccanismi sociali, politici e morali, senza ottenere sempre dei risultati migliorativi. Certo, il vaiolo che ha ucciso la nostra protagonista, la donna di tutti, è stato debellato da un vaccino; e non solo il vaiolo: al giorno d’oggi sopravviviamo a malattie che, all’epoca, erano letali. L’igiene è decisamente migliorata, quasi esasperata in certi casi. La politica? Direi che ha lo stesso volto, solo mascherato in modo diverso, secondo i tempi e le esigenze dell’epoca di riferimento. A livello sociale? Era peggio allora o ai giorni nostri? Qui non mi esprimo, non voglio dar adito a sterili polemiche di sorta. Lascio a ognuno giudicare da sé.

La trama

Veniamo al romanzo, ora.
Se leggerete i vari libri dell’autore in questione, sappiate che Nanà è il numero nove del ciclo dei Rougon-Macquart, quindi per conoscere le origini della protagonista, dovreste iniziare dal primo e attendere la sua comparsa e la sua dipartita in “L’Ammazzatoio”.
Non è obbligatorio leggerli nell’ordine corretto, consigliato, semmai. Zola lo si può leggere come meglio aggrada, la sua arte è unica e meravigliosa e il filo conduttore di ogni opera è a sé stante. La narrazione è onniveggente, un occhio attento che descrive vicende e ambienti, dialoghi a tratti più frequenti e alternati a istanti di analisi oggettiva dello spazio e delle azioni dei vari personaggi. Che sono numerosi e tutti con la loro significativa parte.
Comunque sia, Nanà – che nel francese parlato significa donna di tutti – nasce povera, in miseria e da quella miseria scappa, in cerca di una rinascita. Ed è qui che la situazione si incrina. Cosa voleva la nostra protagonista? Cosa desidera davvero? Quello che vorrebbero tutti: la felicità. Questa luce composta di colori quali: l’amore, la devozione, il benessere, il divertimento e la libertà. Oh, che concetto magnifico la libertà, soprattutto per una donna. All’inizio del romanzo, Zola ci descrive questo lato di Nanà, questo suo desiderio. Lo fa, senza commenti o particolari descrizioni. Lo mostra! Sta all’attento lettore cogliere questa sfumatura di colore (ricordate i colori di cui sopra?).
Bene, cosa accade quando il desiderio non riesce a essere soddisfatto, poiché non lo si ha ben chiaro? Si cerca di mescolare i colori, affinché si possa ottenere quello corretto.

Oh, povera ragazza! Non è decisamente una pittrice, le sue pennellate sono confuse e annoiate. Dettate da impulsi immaturi e da una cultura assente.
Confonde il volere, non si accorge del disastro nel quale sta trasformando la sua tela. La sua esistenza.

Lo stile

Ed è a questo punto che emerge il genio artistico di Zola, la sua lucida fotografia degli avvenimenti e la metafora che riesce a sfruttare per denunciare, senza alcun giudizio, una verità che è realtà concreta del suo – e del nostro – tempo.
Agli occhi del lettore, drogato come gli uomini che Nanà soggioga con la sua sfrontata e procace bellezza, la giovane donna diventa un cancro. Il peggiore cancro: tutto ciò che tocca è consumato e destinato a marcire, a putrefare tra i miasmi della fine.

Zola vola tra le vette delle più infami bassezze sociali e morali, nonché psicologiche. E, nel farlo, parla di politica, quella del suo tempo, di un periodo storico importantissimo per la Francia: il secondo Impero si sta sgretolando, la Prussia, a cui loro si sentono superiori, finirà per schiacciarli e per trasformare quella nota in un’altra realtà. La maschera cade e un’altra è pronta per essere indossata.

La prosa di Zola è magnifica, ricca, succosa, schietta e altamente studiata. Nessun aggettivo è messo lì a caso, nessuna frase è eccessiva. Tutto ha un fine e uno scopo, che l’autore ha ben chiaro in mente e con il suo acume, con la sua straordinaria padronanza della parola sa raggiungere senza alcuno sforzo.

Ecco perché ho iniziato con l’affermare che questo romanzo è terrificante. Lo è, eccome. È agghiacciante nella sua sconfinata bellezza, ti toglie il fiato, pagina dopo pagina, ti fa sentire piccolo e impreparato di fronte a cotanta magnificenza.
Si è perso, oggi, questo immenso tesoro e ringrazio chi ha inventato carta e inchiostro: veicoli di eternità.

La classicità. O, la classe

Ci si chiede spesso il motivo di leggere iclassici”. Il più delle volte si reputano noiosi, lenti, con un linguaggio complesso, non attuali. Questo ci ha reso “poveri”. Poveri di parole, di arte, di capacità intellettive. Certo, la lingua è viva e come tale deve mutare, ma dovrebbe mantenere la propria ricchezza e forma espressiva. Dovrebbe evolvere e non involvere. Noi esseri umani abbiamo la necessità di esprimerci in modo chiaro, completo e lo possiamo fare solo sfruttando la lingua. Questo ci rende unici al mondo. Come possiamo pensare di gestire quell’oceano sconfinato di emozioni e sentimenti, se non siamo in grado di esprimerli?

Oggi vige la regola dell’essere veloci, diretti, sintetici. Un romanzo corposo, come questo, annoia, perché non viene compreso.
Oggi, per l’appunto, si fa una foto al tramonto, mentre un tempo lo si doveva dipingere o descrivere. Capite cosa intendo?

Saper cogliere queste sfumature, ahimè, non è da tutti.
Saperle trovare in romanzi “classici”, scritti davvero bene, è quasi impossibile. Nemmeno la scuola prepara a tanto. Un tempo, forse.

 

Il finale

Alla fine, comunque, Nanà muore, così come l’impero Francese. La nobiltà vacilla, la borghesia si impoverisce, là dove Nanà non è riuscita a passare e a lasciare il suo segno, ci pensa la storia.
I potenti che schiacciano i poveri esisteranno sempre, ogni tanto quei poveri si fanno sentire, portano il loro marchio e sovvertono per un istante l’ordine sociale. Alcune volte il povero diventa ricco e potente e sempre dimentica da dove è venuto, finché un altro povero non lo riporta al vecchio livello e così via, come una ruota senza fine.
Ecco dove è l’attualità in Zola. Lui, a differenza di Dostoevskij, fa un’analisi lucida e consapevole dello schifo che lo circonda, non porta dentro di sé il tormento di una realtà che lo fagocita e lo priva di energia e forza. Zola comprende la verità insita nella realtà e sa che scrivendone la renderà immortale, le restituisce la potenza che la caratterizza.

Vi lascio con un passaggio, tratto dal romanzo in questione, che è solo una piccola parte di una bellezza sconfinata.

“La sua opera di rovina e di morte era compiuta, la mosca uscita dall’immondizia dei sobborghi, portando i fermenti della putritudine sociale, aveva avvelenato quegli uomini appena posandosi su di essi. Era logico, era giusto: ella aveva vendicato la sua gente, gli straccioni i reietti. E mentre in un trionfo di luce il suo sesso risplendeva sulle vittime stese a terra, simile a un sol levante che illumina un campo di strage, ella conservava la sua incoscienza di bestia superba, ignorante di ciò che faceva, sempre bonaria.”

Quando finirete di leggere questa storia, quando avrete posato il volume, che ancora caldo tra le vostre mani, vi intimorisce, ecco, date un’occhiata al famoso quadro “La libertà che guida il popolo” di Delacroixe ditemi a chi state pensando.

 

La libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple)
Eugène Delacroix 1830 – Olio su tela

Giorgia Golfetto