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La regina Maria Antonietta di Francia (1755-1793)

“Scrivere la storia della regina Maria Antonietta vuol dire riprendere un processo più che secolare, nel quale accusatori e difensori polemizzano con la maggior asprezza. Il tono appassionato della discussione risale agli accusatori. Per colpire la monarchia la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna. Ma è raro che veridicità e la politica dormano nello stesso letto, e là dove una figura è delineata con fini demagogici non si potrà aspettarsi molta giustizia dai facili servitori dell’opinione pubblica.”

Incipit di “Maria Antonietta” di Stefan Zweig

Ritratto di Maria Antonietta, regina di Francia – dettaglio
Jean-Baptiste André Gautier Dagoty, 1775 – olio su tela
Château de Versailles

Chi sono io? Sono la Regina di Francia. La Reine. Di sicuro ho avuto una vita bellissima e molto piena in tutti i sensi. Ora sono qui, scarmigliata, spettinata, stanca in attesa di morire. Domani mi porteranno al patibolo. Se ho capito perché è successo tutto questo? No, non lo capisco. Sono stata una sovrana frivola? Immagino di sì. Anzi, sono sicura di sì. Ma non credo sia un motivo per essere decapitata. Mi vedo come un capro espiatorio per la storia.

Ho sempre fatto ciò che mi è stato richiesto dalla ragione di Stato. Sposata quando ancora ero poco più che una bambina, portata via da mia madre, la regina Teresa d’Austria e da tutto il mio mondo. Ero una bimba allegra e spensierata. E ho dovuto abbandonare tutto per andare in Francia a sposare un principe a me sconosciuto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto. La giovane principessa non poteva portare nulla dall’Austria. Per quanto la corte austriaca di mia madre Teresa fosse austera e per quanto fossi preparata ad assolvere gli obblighi di corte, il distacco fu enorme e sconvolgente. Stavo per arrivare in una terra straniera e, forse, ostile. Come sarebbe stato il mio sposo (anche lui adolescente)? Vietato sognare. Sì, sarei diventata la futura Regina di Francia, ma avrei preferito mille volte essere una sconosciuta contadina austriaca che lasciare mia madre, la mia terra, i miei fratelli per una vita ignota.

Quanti intrighi, arrivata alla corte di Francia. Quante falsità e cattiverie. Ma avevo bisogno di affetto: mi fidavo di chiunque dimostrasse amicizia nei miei confronti. Mio marito, allora principe Luigi, era un ragazzo riservato e chiuso, tanto quanto il Re mio suocero aveva una personalità dirompente e carismatica. Grazie proprio a Re Luigi mi sentii accolta in Francia e compresi il ruolo importante che avrei avuto.

Finché ci fu mio suocero la vita scorreva serena e abbastanza semplice. Facile fu per me abituarmi al mio ruolo. Ero la donna più importante del regno. Questa consapevolezza mi portava forse anche a essere a volte molto altera. Quando Luigi XV morì, per me e il principe ci fu dapprima sgomento. Ma si sa: “Morto il Re, viva il Re”. Luigi e io saremmo stati incoronati Re e Regina.

Se da principessa conoscevo il mio status e chi io fossi, diventata Regina mi sentii onnipotente. Feste, balli, divertimenti erano all’ordine del giorno. Sperperai denaro? Sì, di sicuro lo feci, ma ero comunque una giovane donna che aveva potere e denaro.  Mio marito seguiva la politica con poco slancio, dedito più ad altre attività a lui più congeniali.

Maria Antonietta con la rosa
Élisabeth Vigée Lebrun – olio su tela, 1783
(Château de Versailles)

Non ci rendevamo conto che il popolo intorno a noi era in miseria. Una miseria nera e feroce. Ma come potevamo saperlo? La corte di Versailles era così ricca e sfarzosa. Pensavo tutti fossero felici a Parigi e in Francia. Pensavo a me stessa, di sicuro. La storia non mi perdonerà, ne sono certa: e capisco che sia molto difficile trovare scusanti per chi non riusciva a guardare oltre la sua corte. Oro, gioielli, vestiti, amore, ma anche i miei figli, erano il mio mondo e ciò che mi interessava. Il popolo era per me un’entità astratta: ma comunque sapevo che il popolo ama i suoi sovrani, proprio come amavano mia madre Teresa.

Non voglio giustificarmi: ho fatto tanti errori dovuti sicuramente al mio carattere frivolo e viziato. Ma di sicuro non avrei mai voluto vedere i miei sudditi soffrire. Eppure, le maggiori cattiverie venivano proprio dai nobili. In tanti erano gelosi di me e del mio potere. Ero pur sempre, anche se mio malgrado, una sovrana straniera. Non ero francese: e molti non sapevano o potevano perdonarmelo. Quante cattiverie ho dovuto sentire durante il processo. Mi stavano giudicando come fossi un mostro: come fossi l’essere più abietto e spregevole. Mi hanno dato grosse colpe: addirittura tacciato di incesto con mio figlio di otto anni. Il solo pensiero mi fa rivoltare ogni singola fibra del mio essere. Tutto mi si rivolta.

Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, regina di Francia, e i suoi figli
Élisabeth Vigée Lebrun – olio su tela, 1787
Château de Versailles

Ho tanto sopportato, in quanto mio marito e io non ci amavamo. Povero Luigi, ormai giustiziato. Gli volevo bene come una sorella: ma certo non c’era amore tra noi. Ho amato e conosciuto l’amore passionale. Mi hanno rimproverato anche questo, anche se ho cercato di non dare mai scandalo. Il conte Fersen ha dimostrato amore e lealtà a me e alla corona francese in tutta la sua vita. Un amico, un amore, un amante.

Sono sola con i miei pensieri e mi sembra di impazzire. Morirò decapitata. Ho paura, ma sono la Regina.

Roberta Jannetti