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Tra l’ostrica ideale e l’ideale dell’ostrica

L’ostrica ideale

Bene, comincio col dire che l’ostrica ideale non è certo quella di Cechov nel racconto “Le ostriche”, in cui un bambino affamato al punto da essere quasi privo di sensi, mentre è in strada col padre nella sua prima uscita da mendicante, scorge la scritta ostriche sul cartello appeso a una finestra della trattoria a lui di fronte.

Non ne conosce il significato.

“Babbo, che vuol dire ostriche?”

Il padre, anch’egli allo stremo delle forze, con fatica risponde che è un animale e che vive nel mare.

Il bimbo allora comincia a immaginare una sorta di incrocio tra pesce e gambero, fresco, profumato, che sollecitamente verrà portato in cucina dove altrettanto sollecitamente verrà trasformato in un piatto saporito. Presto, presto… perché la fame non ha tempo da perdere. Il piccolo, grazie all’immaginazione, sente il sapore di un cacciucco, lo mastica e lo inghiotte, e ancora, e ancora… fino a quando quasi cade dal godimento e, aggrappandosi alla manica del lacero cappotto paterno, chiede:

“Babbo, le ostriche sono un cibo grasso o magro?”

Povero padre! Ha freddo, ha fame e si vergogna. Si vergogna al punto da non riuscire nel compito che si è prefisso: mendicare. Ma, da come lo descrive Cechov, quasi in trance, comunque risponde, affermando che le ostriche si mangiano crude.

E allora! Povero piccolo! Quale delusione… il sogno saporito si spezza, e viene sostituito da immagini raccapriccianti. Ma, miracolo della fame, anche quell’orrendo animaletto con occhi sporgenti e chele finisce nella sua bocca, ed è buono. O forse no, forse il sapore non lo immagina, ma comunque, buono o cattivo, riempie la pancia. E nella sua pancia immaginaria finiscono anche piatto, tovagliolo, sovrascarpe del padre e foglio con la scritta.

Il delirio si espande fino al punto da portare il bambino a gridare come un ossesso che vuole le ostriche, sollecitando la curiosa e divertita attenzione di alcuni passanti.

Avrà le sue ostriche, azzannate con tutto il guscio, e salate tanto da lasciargli sete e malessere.

Il padre, una volta a casa, si dispererà, e camminerà fino al mattino ripetendo che certi signori hanno pagato dieci rubli per quel piatto! Non potevano darli a lui? Non poteva, forse, lui chiederli in prestito?

Il povero affacciato alla ricchezza… Cechov non lo auspica di certo.

L’ideale dell’ostrica

Mi fa pensare all’ideale dell’ostrica, di Verga, descritto sulla novella “Fantasticheria”.

Che ideale può avere l’ostrica? Ma certo: la sicurezza.

Sicurezza che è anche il primo e fondamentale bisogno, dopo quelli strettamente fisiologici (senza il soddisfacimento dei quali non ci sarebbero classifiche), che vogliono soddisfare gli esseri umani.

Fantasticheria parla di un uomo che scrive a una donna, snob e forse settentrionale, con cui probabilmente ha avuto — o ancora ha — una relazione sentimentale: nell’epistola il personaggio maschile commenta con divertimento il ricordo di una gita e di come la signora si sia presto stancata del paese scelto, Aci Trezza (ridente e pescosa cittadina in provincia di Catania), di cui le qualità positive ne sono anche le negative, e cioè ambiente arcaico e rurale, suggestivo, verde e azzurro, ma privo dei lussi e delle raffinatezze delle città, e proseguendo in una riflessione sul mondo, quello rurale appunto, che troverà compimento espressivo ne “I Malavoglia”, dice:

“Un dramma che qualche volta forse vi racconterò e di cui parmi tutto il nodo debba consistere in ciò: – che allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più egoista degli altri, volle staccarsi dal gruppo per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo, il mondo da pesce vorace com’è, se l’ingoiò, e i suoi più prossimi con lui. – E sotto questo aspetto vedete che il dramma non manca d’interesse. Per le ostriche l’argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio. “

Non me la sento di dargli ragione.

Spesso la sicurezza è una prigione. Anche per i poveri. Quindi, primo bisogno dopo quelli primari: la sicurezza. E il secondo? La varietà. Pare che gli uomini desiderino sentirsi ben accetti e ben inseriti in contesti sociali ampi e differenziati. Non vi sembra leggermente schizofrenico?

Sicurezza e varietà.

Stasi e movimento.

Schizofrenico, eppure, umano. È chiaramente umano.

Desideriamo un tetto sulla testa, ma sapremmo davvero accontentarci di un mucchio di foglie di banano poggiate su pali di legno vivendo in solitudine o, al massimo, con una cerchia ristretta di persone sicuramente affidabili?

No. Del resto, è vero, almeno a leggere la Piramide di Maslow, che il più alto valore a cui gli esseri umani aspirano è l’autorealizzazione, dopo essere passati per la realizzazione di un progetto affettivo, e poi sociale. Tanta, tanta varietà. Tanto cambiamento. Tanto coraggio.

Se ci fossimo rinchiusi nel resistentissimo guscio dell’ostrica, oggi vivremmo ancora nelle caverne.

E invece abbiamo affrontato i gamberi. Sì, abbiamo affrontato quelle forze che invece di spingerci avanti, ci vorrebbero far andare a ritroso.

Esiste l’ostrica ideale? O è un ideale d’ostrica?

E quindi c’è un’ostrica ideale? Ma certo che sì: quella che ci piace di più. C’è chi la preferisce eterea e saporita, chi consistente e gustosa.

Io ne consiglio, alla faccia delle (meravigliose) bretoni e irlandesi, la Speciale di San Teodoro, sarda e cicciotta (mi si perdoni il vulgaris). La conchiglia è omogenea, a goccia; le carni sono sode, corpose, dal sapore dolcemente marino, con richiami vegetali e di frutta secca.

Una ricetta? Sia mai! Apritela e mangiatela. Qualcuno ama aggiungerci del limone, altri salse varie: non poniamo limiti alla provvidenza del gusto.

Accompagniamole con vino secco e fermo, spumante extra brut.

E Champagne, naturalmente, in onore di Cechov che alla bevanda ha dedicato pagine intense. In barba alla vodka, che, devo ammettere, con le ostriche si accompagna benissimo.

Prosit! Che la vita ci preservi dai gusci iperprotettivi…

Loredana Conti

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